venerdì 2 ottobre 2015

La morte è più viva che mai?




Amelia ha un figlio di sei anni, Samuel, nato dopo la morte del padre. Ha difficoltà economiche e fa fatica a contenere l'iperattività del suo bambino che, in aggiunta, non dorme facilmente e la tiene sveglia, oltre ad essere violento a scuola. Il bambino, per questo, non ha molti amici e, per via di un temperamento esagitato, la stessa madre arriva quasi ad odiarlo. Purtroppo le cose peggiorano quando nella loro casa si materializza un libro di favole diverso dagli altri, molto nero, cupo e spaventoso.



Messo via dopo la prima lettura, però, continua a ripresentarsi fino a che la sua storia di un uomo nero che ti entra dentro fino a condizionarti non comincia lentamente ad avverarsi e intrappola i due nella loro stessa casa.



Jennifer Kent, regista e attrice australiana, dirige il suo primo lungometraggio mettendo in scena un horror psicologico dove il rapporto tra madre e figlio gioca un ruolo primario nella costruzione dell'angoscia che piano piano monta fino all'apparire del mostro. Quest'ultimo, come nella migliore tradizione cinematografica di genere, si palesa solamente verso la fine del film in piccole sequenze che però generano inquietudine.


La pellicola, a mio parere, gira bene per buona parte del racconto soprattutto per via del morboso rapporto freudiano che lega Amelia a suo figlio Samuel. Una situazione che logora i nervi della madre e che rappresenta il lasciapassare dell'orrenda creatura nella casa.
Il finale è un po' contraddittorio e lascia, personalmente, la sensazione di qualcosa di incompiuto ma nel complesso è un film che assolve egregiamente il suo dovere.

Voto: 3 pugnalate su 5




















Un gruppo di ricercatori, capeggiati dai coniugi Frank e Zoe trova il modo di riportare in vita i defunti completando con successo, ma senza autorizzazione, un esperimento su un cane appena morto.
Il rettore della loro Università, venuto a sapere di ciò che hanno fatto, decide di sospendere il progetto requisendo loro tutto il materiale fin qui documentato. 
Tuttavia il team decide di continuare i loro esperimenti per far si che il mondo venga a sapere cosa hanno scoperto ma, a causa di un incidente, Zoe, viene orribilmente uccisa. Frank, addolorato, convince il team a fare qualcosa di impensabile: resuscitare la loro prima cavia umana. 
Zoe viene rianimata ma quello che inizialmente si rivela un successo presto si rivelerà qualcosa di sbagliato...
Nel complesso bel filmetto da serata di paura, forse il migliore della tripletta che abbiamo visto.
David Gelb, documentarista passato al cinema di consumo, firma la regia di "The Lazarus Effect" con un cast buono e sceneggiatura non originalissima ma che tiene botta per tutta la durata della storia dove l'orrore si mescola alla fantascienza in stile "Linea mortale".
Olivia Wild bellissima e feroce come strumenti di morte venuto dall'aldilà.

Voto: 4 pugnalate su 5.



Una famiglia sitrasferisce in un sobborgo residenziale ma la casa è infestata da forze soprannaturali. 
Terrificanti apparizioni moltiplicano i loro attacchi e prendono di mira la figlia più piccola che, in seguito, viene fatta prigioniera dagli spiriti maligni.
Per la famiglia non resta che coalizzarsi per salvarla prima che scompaia per sempre.

Seguendo la moda dei remake e reboot delle pellicole  che andavano alla grande nel cinema degli anni '80, Poltergeist si inserisce in quella schiera di film da riproporre con un tocco d'autore che lo renda più cupo.
Purtroppo, però, è la conferma che le due epoche sono troppo differenti (anche a livello sociale) per rifare un film che 30 anni fa era un horror fantascientifico per famiglie.
Nel film del 1982 Tobe Hooper (maestro di genere capace di spaziare dall'horror più truculento di "Non aprite quella porta" alla fantascienza dark di "Space Vampires") proponeva la storia di una famiglia media americana che si trasferiva in quello che sembrava essere un tranquillo quartiere residenziale di periferia. Le cose piano piano andavano peggiorando fino al colpo di scena finale condito da effetti speciali artigianali (fanno tenerezza a rivederli oggi) che tenevano lo spettatore inchiodato alla poltrona fino alla fine.

Tutto ciò che sembrava essere un film simile a "E.t. l'Extraterrestre" (che suscitava vera paura) poi diventava a tutti gli effetti un horror con momenti di ilarità volti a spezzare la tensione.
Nel remake tutto questo non c'è e si capisce subito dove la storia andrà a parare. La famiglia Bowen è più figa e "patinata" dei Freeling e il personaggio carismatico della medium Tangina (la piccola grande attrice Zelda Rubinstein dell'originale) è stato sostituito dal divo della televisione Carrigan Burke specializzato in reality sul paranormale.
A livello di carisma Tangina batte Carrigan 3 a 0.



Voto finale: 2 coltellate su 5.






MR. BEEF

mercoledì 3 giugno 2015

The Drums, Merchandise e The Flaming Lips

La primavera è iniziata e se cercate qualche spunto musicale siete nel posto giusto!


Gli album di cui sto per parlarvi non sono stati pubblicati di recente ma rivestono alcuni profili di interesse : Encyclopedia dei The Drums , After The End dei Merchandise  e 7 Skies H3 dei The Flaming Lips.

Cominciamo con Encyclopedia dei The Drums. Dopo l'ottimo Portamento del 2011, i The Drums tornano con Encyclopedia  pubblicato in Italia nel 2014 e che segna un'evoluzione nel sound della banda, dalle tonalità allegre tipicamente surf del primo album a toni più new wave in cui chitarre e sinth rendono l'atmosfera talvolta triste e sicuramente più malinconica. Magic Mountain è sicuramente il pezzo forte dell'album, insieme a Kiss Me Again , in cui più marcato si avverte il tipico sound surf dei nostri; il ritmo è veloce, i brani si fanno ascoltare con piacere, un ritornello che fa ballare ad una festa sulla spiaggia. Ma già con I Can't Pretend si avverte un prevalere di toni più scuri ; questo nuovo mood si nota, poi, anche nelle belle I Hope Time Doesn't Change e Let Me. Sulla stessa lunghezza d'onda, There Is Nothing Left, dove il sinth-pop dei The Drums si ammanta di sonorità cupe. In definitiva, album carino ma che non mi ha convinto fino in fondo.

Con After The End del 2014, i Merchandise, lasciando lo stile post-punk dei primi lavori, abbracciano un sound decisamente eighties caricandosi l'eredità di gruppi come The Smiths, Depeche Mode, Echo & The Bunnymen. Il nuovo corso è introdotto da Enemy, brano al primo ascolto decisamente accattivante e di chiara impronta new wave ma che ha un qualcosa di... già sentito.
Ritmi più lenti e tranquilli per True Monument mentre in Green Lady il sinth e l'uso delle chitarre creano un'atmosfera che mi riporta direttamente agli anni '80! Tra i brani migliori, Life Outside The Mirror che è caratterizzata da una base musicale costituita dall'organo e da una certa solennità. Per Telephone, sonorità più elettroniche, assoli di chitarra e ritmi potenti che sembrano richiamare i The Clash.  Insomma, tanti sono i richiami e le citazioni in questo album dei Merchandise ma il risultato, pur con alcuni pezzi buoni e talvolta ottimi, non è sempre originale.







Sempre del 2014, 7 Skies H3 dei The Flaming Lips si pone in linea di di continuità con il precedente (e già recensito) The Terror : la freddezza di questi brani ci introduce in un universo dove il calore dell'amore sembra ormai un ricordo. L'uso del sinth crea atmosfere spacey in Can't Shut Off My Head e la tristezza sembra avvolgerci per condurci nell'ambiente prog e vagamente dreamy di Meepy Morp da cui sembrerà di non poter più uscire. Angosciante e paranoica è la lunga e ripetitiva marcia di Battling Voices From Beyond. Con il brano In A Dream ( che andrebbe meglio ribattezzata "in un incubo"! ) gli effetti space tempestati da suoni acidi sembrano prevalere e i Lips ci martellano con un ritmo pesante.

Dopo tanta forza espressiva, troviamo Metamorphosis , al limite con il post-rock con melodie fredde e atmosfere molto evocative. L'unico barlume di luce in tutto l'album sembra essere la dolcezza di 7 Skies H3 (Main Theme) . Con questo album, la psichedelia acida dei  Lips torna ad assumere tonalità dark, ci introduce in un lungo flusso di coscienza, ci fa volteggiare nello spazio con il rischio di cadere nel labirinto dell'incubo della follia... e solo una timida luce pur si scorge, lontana.

In definitiva, dei tre album recensiti mi ha veramente impressionato ( e ne consiglio vivamente l'acquisto ) solo 7 Skies H3 dei The Flaming Lips che si confermano tra i miei gruppi preferiti!   



MR. KITE

venerdì 29 maggio 2015

Mad Max: Miller's Fury!


"Il mondo crollava e ognuno di noi a modo suo era a pezzi. Difficile capire chi fosse più folle, io o gli altri."


In un futuro post-apocalittico la Terra è in mano ai predoni. Tra questi, Immortan Joe, che controlla la Cittadella con il pugno di ferro e concedendo l'acqua, bene prezioso e raro, soltanto come mezzo di controllo del popolo ridotto in schiavitù. La sua compagna e "Imperatrice", Furiosa, lo tradisce, scappando attraverso la Fury Road poiché ha pianificato la fuga assieme alle cinque mogli di Joe, donne sane e fertili destinate a dare alla luce una nuova stirpe di figli. L'intenzione di Furiosa è impedire al tiranno di sfruttare le giovani donne per i suoi scopi. Intanto Max Rockatansky, etichettato come "donatore universale di sangue", è sottoposto a un salasso per trasfondere il proprio sangue con il Figlio di Guerra Nux, che si trovava in stato semiconvalescente.
Joe, accortosi del tradimento, decide di fermare il piano dell'imperatrice mandando le sue truppe di soldati motorizzati.
Nux, non ancora al meglio, decide di portare con sé la "sua sacca di sangue" personale...
Sono ancora frastornato dalla potenza visionaria dell'ultimo film di George Miller, autore della vecchia trilogia di Mad Max (da noi Interceptor), per poter recensire pienamente e in modo oggettivo quello che a prima impressione sembra un capolavoro a livello estetico di una storia riportata sullo schermo a trent'anni di distanza come nuovo remake/reboot.
Non riesco ad azzardare un giudizio obiettivo in questo momento perchè è uno di quei film da rivedere almeno due volte per carpirne il senso e la potenza estetica.
Questo genere di storie o si amano alla follia o si odiano profondamente. 
E' una fantascienza estrema fatta di scene cruenti, colori vivaci, motori fumanti, esplosioni fragorose e acrobazie motorizzate. C'è davvero tutto e forse troppo com'è nello stile dei fanta-film a sfondo post-apocalittico.
Purtroppo è la sceneggiatura che pecca di qualche incongruenza ma comunque tenuta in piedi da un ritmo serrato che lascia spazio a poche pause per rifiatare dall'orgia di suoni e immagini che ci propone Miller. 
Charlize Theron è bella e potente anche con i capelli corti e senza un braccio. Brava a tal punto di finire per oscurare più volte Tom Hardy che, teoricamente, sarebbe il protagonista.
Tom Hardy non ha il carisma di Mel Gibson anche se il suo mestiere lo fa attraverso poche, ma mirate, battute (pessima scelta del doppiaggio del suo personaggio a mio modesto parere).
Ci sono citazioni e rimandi alla prima trilogia come, ad esempio, il tatuaggio sulla schiena di Max Rockatansky dove possiamo notare bene la scritta "road warrior".

 



Da notare che per l'attore Hugh Keays-Byrne (Immortan Joe) è un ritorno al passato.
Richiamato sul set da Miller, aveva interpretato il malvagio Toecutter nel primo Interceptor.
In questa pellicola viene messo in risalto il suo sguardo agghiacciante capace di incutere terrore e angoscia già dalla prima inquadratura.
Per me uno dei migliori "cattivi" visti al cinema negli ultimi tempi.






In conclusione, questo è un film che non può essere solamente visto ma si deve vivere come una lunga e faticosa fuga nel deserto caldo della fury road. 
Attraverso i suoi occhi il regista riesce a trasmettere, con la cinepresa, la percezione quasi fisica di calore soffocante attraverso un'esperienza che lascia allo spettatore la sensazione di aver vissuto in prima persona l'avventura di Max e Furiosa.



MR. BEEF 

mercoledì 20 maggio 2015

Il racconto dei racconti di Matteo Garrone

E Matteo Garrone, acclamato regista di film come "Gomorra" e "Reality", ci stupisce ancora con la sua ultima fatica! 

In concorso al Festival di Cannes 2015, Il racconto dei racconti, è una produzione italiana con un cast di respiro internazionale che comprende attori del calibro di Salma Hayek, Vincent Cassel, Toby Jones. Il racconto dei racconti è un film a episodi tratto da tre racconti ( La regina, La pulce e Le due vecchie ) presenti nella raccolta Lo Cunto De Li Cunti, opera scritta in dialetto napoletano tra il 1634 e il 1636 da Giambattista Basile la quale ha ispitato la novellistica successiva dei fratelli Grimm e di Perrault. Le tre storie  si intersecano nella narrazione cinematografica di Garrone, pur senza aver (quasi) punti di collegamento, ossia solamente in occasione del funerale del Re di Selvascura e dell'incoronazione della principessa Viola.





Nel regno di Selvascura, il Re e la Regina (interpretata da Salma Hayek) non riescono ad avere figli per la sterilità di lei; un negromante suggerisce alla Regina di mangiare il cuore di un drago marino cucinato da una vergine. Il Re muore nell'impresa ma la Regina riuscirà nell'intento: insieme a lei, però, resterà incinta anche la cuoca. I due ragazzi, gemelli, cresceranno come fratelli finchè la Regina non cercherà di dividerli.

Nel regno di Altomonte, il Re (interpretato da Toby Jones), trascurando la sua unica figlia, Viola, si dedica ad allevare una pulce come un animaletto domestico. Quando la pulce, diventata troppo grossa, muore, il Re decide di dare in sposa la figlia a chi riuscirà a scoprire a quale animale appartiene la pelle (della pulce): l'unico a riuscire nell'impresa è un orribile orco che vive in un antro in montagna al quale il Re concederà la mano della figlia.

Nel regno di Roccaforte, il Re (Vincent Cassel) è un erotomane, dedito ad una vita lussuriosa e gaudente. Quando, dall'alto del suo palazzo, vede una donna entrare in casa, il Re - ancor annebbiato dai fumi dell'alcool - ascoltando il suo canto soave si convince trattarsi di una bella adolescente e inizia una corte spietata. Senza sapere che in quella casa vivono due sorelle, Imma e Dora, vecchie e decrepite.
Con il Il racconto dei racconti, Garrone ci presenta un mondo magico e surreale ma, allo stesso tempo, quanto mai reale e concreto, tanto reali e forti sono le passioni - spinte all'estremo ed espresse anche in termini cruenti - che muovono i personaggi al centro delle storie. La Regina di Selvascura, madre pronta sacrificare tutto per suo figlio, Viola, principessina amante della musica e del canto, che subisce inizialmente la volontà del padre ma poi si ribella, Imma e Dora, le due vecchie che si fanno ammaliare dal corteggiamento e ingannano il Re.
Tra tutti i 50 racconti presenti nel Cunto de li cunti, sono stati selezionati questi tre per via del ruolo centrale assegnato al personaggio femminile, qui rappresentato nelle varie fasi della vita: la madre, la giovinetta, la vecchia. Il film di Garrone è un film barocco, come barocca è l'opera da cui è tratto, per la forza vivida dei colori e dei costumi, l'intensità e anche la crudeltà dei sentimenti, la potenza evocativa dell'ambientazione e della fotografia meravigliosa dei paesi medioevali e dei paesaggi ripresi tra Puglia, Sicilia, Lazio. I temi cari al regista - la passione dell'amore, la trasformazione del corpo, l'inganno, la volontà di condizionare l'altrui libertà. la fragilità dell'essere umano, allo stesso tempo vittima e carnefice  - sono declinati secondo l'immaginario fiabesco e gotico del Basile, attingendo inoltre ampiamente anche ai capolavori della pittura moderna (ad esempio, la scena di Vincent Cassel circondato dalle donne in abiti discinti evoca chiaramente La morte di Sardanapalo di Eugène Delacroix; Imma ringiovanita nel bosco - la bellissima Stacy Martin - richiama la Venere del Botticelli).
C'è chi sostiene che Garrone abbia fatto un film pasoliniano. Io concordo pienamente con questa opinione.  E mi viene in mente la "Ricotta", episodio diretto da Pasolini in "Ro.Go.Pa.G." in cui viene rappresentata una troupe impegnata nelle riprese di una passione di Cristo che  ripropone e richiama due opere del manierismo toscano : la Deposizione di Pontormo e la Deposizione di Cristo di Rosso Fiorentino; Pasolini fa dire al regista della troupe, interpretato nel film da Orson Welles :
"Io sono una forza del Passato.  Solo nella tradizione è il mio amore.  Vengo dai ruderi, dalle Chiese,  dalle pale d'altare, dai borghi dimenticati sugli Appennini o le Prealpi,  dove sono vissuti i fratelli"

Ebbene, Garrone ci propone in versione fiabesca quella tradizione che richiama i borghi medioevali, le pale d'altare, i ruderi antichi di un passato glorioso. Insomma, amici, in poche parole, un film da non perdere!



MR. KITE.




martedì 28 aprile 2015

I Vendicatori (Avengers fa più figo però).



Prima di parlare di Avengers: Age of Ultron è necessaria una doverosa premessa. 
Il cine-comic è un genere che può destare nello spettatore ogni sorta di reazione. Dal “che cavolata” al “più bello del precedente” passando per “era meglio il primo” e “non c’entra nulla col fumetto”. 
Partiamo quindi dal presupposto che, chi scrive, approccia ogni tanto ai fumetti e, appena può, va al cinema o guarda in home video film TRATTI dai comics. 
Non sono un fanboy o un nerd di quelli duri e puri che fanno la pulce a ogni minima sequenza o dettaglio nella pellicola. Il mio approccio è più rilassato.
Detto questo, il film.
A me è piaciuto con tutti i difetti che un blockbuster di tale portata può portare con sé. Una storia di due ore e mezza in cui si deve condensare:
1) Il ritorno degli avengers sulla scena
2) L'apparizione di Ultron
3) l'entrata in scena di nuovi personaggi
4) L'approfondimento sulla storia dei vecchi avengers
5) Scene di azione
6) etc etc;
deve avere necessariamente dei buchi narrativi dovuti al taglio in fase di montaggio.

A mio parere, la differenza che ho notato rispetto al precedente film riguarda soprattutto la curiosità della "prima volta" della squadra: l'effetto "fomento", con Iron Man che appariva a ritmo di "Shoot to thrill" degli Ac-Dc per fermare Loki, in questo film scompare lasciando il passo al team già in azione per sventare i piani degli acerrimi nemici dell'Hydra.
Anche la profondità dei personaggi sembra tratteggiata meglio e il tono spaccone e caciarone del primo film sembra lasciare il posto ad una maggiore introspezione  dei supereroi.

Stark appare più stronzetto (con tutte le paure che si porta dietro dall'attacco dei Chitauri di New York e che abbiamo visto anche in Iron Man 3).
Lo scienziato rischia di passare da salvatore della patria a incosciente che, per colpa del suo ego spropositato,  convince Banner a creare Ultron senza pensare alle eventuali conseguenze.
Capitan America è al comando dellla squadra e sembra essere a suo agio nel nuovo ruolo dopo Winter Soldier  (uno dei migliori film della Marvel insieme a Guardiani della Galassia a mio modesto parere).
Rimane però il solito Cap sempre troppo buonista e a volte zimbello del gruppo (la scena in cui bacchetta Stark perchè non vuole che si dicano parolacce è decisamente penosa).
Thor, Vedova nera e Occhio di Falco fanno il loro dovere.
Soprattutto con Occhio di Falco il regista ha voluto porre, probabilmente, un accento sul personaggio meno "super" del gruppo. Forse il più normalizzato rispetto agli altri del team.
Hulk rimane l'eroe con più potenziale ma ridotto, purtroppo, al bestione verde che spacca e distrugge senza freni.
I due nuovi arrivati, i gemelli Maximoff, hanno un ruolo importante nella storia anche se si nota subito che Wanda avrà un peso maggiore in questo universo cinematografico.

Una cosa non mi è piaciuta del film: l'umorismo forzato che, a volte, il regista ha inserito all'interno della pellicola per smorzare le scene drammatiche e che rappresenta la cifra stilistica della Marvel.
Personalmente le uniche volte in cui ho davvero sorriso sono state le scene riguardanti il martello di Thor, il Mjollnir.
Le altre mi sono sembrate francamente messe li solo per strizzare l'occhio al pubblico più giovane (Vedova Nera che implora Banner di non trasformarsi in Hulk quando sta sopra il suo seno). Battute che, se le avesse fatte De Sica, staremmo parlando di Natale con i vendicatori.
In conclusione, il giocattolone di Whedon cerca di essere più maturo rispetto al predecessore puntando all'evoluzione dei personaggi  e a loro livellamento in quanto a coinvolgimento narrativo.
Avengers: Age of Ultron avrà uno scontato successo commerciale e raggiungerà cifre da capogiro.
Porterà al terzo episodio, diviso in due parti, già previsto per il 2018 e 2019.
A questo si devono aggiungere le pellicole dei singoli eroi, vecchi e nuovi, che approderanno in sala nei prossimi 3-4 anni.
Unica paura? L'inflazione di storie ad alto rischio di avvitamento su se stesse per raccontare eventi sempre più intricati ma meno belli dal punto di vista creativo.





Mr. Beef
 
 

venerdì 10 aprile 2015

A Natale con i tuoi a Pasqua... con l'orrore!



Salve a tutti amici cinefili appassionati di film terrorizzanti e sanguinolenti! Pasqua è passata e nell'uovo di cioccolato abbiamo trovato tre sorprese "da paura" che abbiamo cercato di giudicare con occhio semicritico e semiserio. Alcune di queste ci hanno deluso mentre altre ci hanno piacevolmente colto di sopresa. I film in questione sono: "Il Clown" (2014) di Jon Watts, "Ouija" (2014) di Stiles White e "The Atticus Institute" (2015) di Chris Sparling.





Ne "Il Clown", il giorno del decimo compleanno di Jack la festa rischia di naufragare perché il pagliaccio chiamato a rallegrare i bambini ha dato forfait.
Kent, il padre del festeggiato, trova un vecchio costume da clown e decide di indossarlo per far felice il figlio. Finiti i festeggiamenti Kent, sfinito, si addormenta con il costume ancora addosso. Il giorno dopo, però, scopre che togliere trucco, parrucca e costume è impossibile: l'uomo, dopo averle provate tutte si rassegna e va a lavoro vestito da clown anche se piano piano comincia a sentire che qualcosa non va bene… Kent inizia a sentire uno strano cambiamento accompagnato da una fame sempre più crescente e incontrollabile. 
Alla ricerca di un modo per liberarsi del costume maledetto, viene a sapere di una terribile leggenda ormai dimenticata. Quello che tutti considerano un personaggio buffo un tempo era il "Cloyne" un demone che viveva fra i ghiacciai e scendeva nei villaggi per divorare un bambino al mese durante l’inverno…  






Non nutrivo grandi aspettative per questo b-movie passato praticamente in sordina nelle nostre sale cinematografiche. L'ho trovato però più che onesto nel suo tentativo di associare il lato pauroso della storia al dramma vissuto da un padre che, in fin dei conti, cerca solamente di rendere felice un figlio. In questo modo si arriva addirittura a empatizzare con il mostro.
Il film parte in sordina in un crescendo di "fame e sangue" ma ha il difetto di non premere troppo sull'acceleratore e questo lascia un po' l'amaro in bocca considerando che alla produzione figura Eli Roth (maestro del genere splatter e creatore della serie Hostel).
Consigliato per una serata tra amici che vogliano terrorizzarsi senza impegno.



Nel passato, Laine e l'amica Debbie si divertivano a giocare con la tavoletta ouija con cui , si dice, si può cercare di comunicare con i morti. 
Da adulta, Debbie decide di bruciare il vecchio gioco nel caminetto di casa e confessa in seguito alla sua amica di aver utilizzato di nuovo la tavoletta dopo tanto tempo. Tornata una sera a casa Debbie si ritrova l'ouija in ottime condizioni in camera da letto e si impicca.
Alla veglia funebre a casa dell'amica, Laine trova la tavoletta, ricorda i vecchi giochi d'infanzia e pensa di usarla, assieme ai suoi amici, per contattare l'amica morta. Pessima idea...
Questa la storia dietro "Ouija" film che, a parer mio, ha poco da aggiungere al genere horror se non quello di far vendere il gioco (la tavola è commercializzata dalla Hasbro!!).
Attrici giovani con bel faccino che combattono presenze maligne senza colpo ferire e senza perdere mai il trucco perfetto anche quando si vedono sparire gli amici portati via da oscure presenze... mah!
Una trama forzata che si denota già quando la protagonista si prende l'impegno di sorvegliare la casa dell'amica defunta perché i genitori di Debbie, provati, se ne staranno via per un po' (ma dai? Casa infestata libera dagli adulti?). Ma anche la sua stereotipata  situazione familiare: la mamma non c'è più, il papà è spesso via per affari e la sorella minore Sarah è piuttosto scapestrata. Insomma un cliché dopo l'altro.

Comunicare con i morti esercita da sempre un fascino irresistibile su cui il genere horror ha spesso trovato terreno fertile ma in questo caso non basta. Effetti speciali di routine e trovate registiche blande non bastano a sorprendere lo spettarore più scafato.
Consiglio di vederlo solo se state in astinenza da film "di paura" (qui è davvero poca). Potete tranquillamente chattare al telefono con gli amici durante la visione, non vi perderete un granché della storia.



Ultima pellicola che vi proponiamo è "The Atticus Institute".
A metà degli anni ’70 in un piccolo laboratorio di psicologia dell’Università della Pennsylvania si effettuano esperimenti con persone dotate di facoltà paranormali.
I risultati purtroppo sono piuttosto deludenti finché non si imbattono in una donna i cui poteri sembrano essere da subito straordinari…
Attraverso la tecnica del falso documentario (mockumentary) che si basa sui resti di pellicole ritrovate (found footage) questo film indipendente è una piacevole sopresa non perchè rappresenti una novità nel genere bensì per il fatto che da un'opera per nulla reclamizzata esca un prodotto a basso costo con una buona storia che angoscia più che fare paura.
La crescente sensazione che qualcosa di brutto stia per accadere rimane per tutto l'arco narrativo e senza che vi siano particolari effetti speciali.
La fotografia, con gli ambienti claustrofobici del laboratorio e le luci al neon, trasmette perfettamente la sensazione di tensione.
Brava la protagonista Rya Kihlstedt nell'interpretare la paziente con facoltà paranormali.
Credo di non sbagliare affermando che dopo "The Conjuring" e "Sinister" questo è il film che più mi ha colpito nell'ambito del genere horror.
Intendiamoci, non è un'opera destinata a diventare un cult ma rimane comunque un buon prodotto, svincolato dalle grandi case di produzione, nel panorama sempre più affollato di pellicole piene di possessioni e spiriti maligni pronte a sbucare dietro ad ogni angolo.




Consigliatissimo per una serata (anche tra amici) in cui si voglia provare una discreta dose di tensione accompagnata da brividi sparsi qua e la...




MR. BEEF